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giovedì 21 giugno 2012

LA PREGHIERA NEL LAVORO ESOTERICO



Ancora oggi si constata come nel lavoro esoterico un grosso problema è rappresentato dal comprendere il vero valore della preghiera. L’educazione e la cultura, ci hanno indotto a ritenere la preghiera come un freddo omaggio ad un Dio esterno a noi, mentre in realtà essa è un vero e proprio atto magico.


"Hai depositato la luce del tuo flusso, e io sono diventata una luce pura" (Pistis Sophia)

Tale stato di cose per la moltitudine, nasce dal naturale fraintendimento di un fenomeno coscienziale, un difetto di percezione, dove l’arroganza di sapere, unita ad una congenita separatività limita la nostra capacità di comunicare con il divino, che è nostra parte integrante e sostantivizzante.

Cio’ che noi intendiamo comunemente come coscienza, e’ il percettore a mezzo dell’organo percepente dell’oggetto/soggetto percepito. Ma nell’uomo comune, il percettore e’ la psiche condizionata dall’illusione di essere io: quindi la nostra coscienza e’ l’io. Accade, fatalità, che a volte la preghiera evochi parti del proprio essere che vengono sentite come estranee, entita’ autonome e autocoscienti, la cui coscienza non e’ la nostra.

Questo e’ il caso della manifestazione della Coscienza della Divina Madre, ad esempio. In tali casi si vive la presenza della Madre come la presenza di qualcosa connaturato con noi, ma avente una coscienza/consapevolezza separata dalla nostra. La ragione e’ ovvia! Se il percettore e’ la psiche condizionata dall’io, non puo’ contemporaneamente essere la mente illuminata. Ecco che quindi la preghiera invocativa/evocativa in taluni casi porta alle cosiddette apparizioni o visioni.


L’apparizione e’ vista come la manifestazione di una realtà esterna a noi, o comunque disgiunta, ma ciò accade a causa della nostra fondamentale ignoranza. Nel viaggio intimo, nelle sfere della nostra psiche, questo accadimento e’ ancora più vivo e in certi casi anche parti dell’io stesso vengono percepiti come autonomi ed autocoscienti... Perche’ di fatto lo sono! Ma nel contempo sono componenti del nostro essere nella sua globalità. Per questo si parla di ego come singoli elementi a se stanti (molteplicita’ dell’io), e dell’Essere come composto da diverse parti autocoscienti. Marco 5:9 E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti». Per superare il baratro dell’inganno e dell’ignoranza in cui amiamo relegarci, un profondo convincimento deve animare il devoto praticante dell’arte della preghiera: Ogni manifestazione del divino altro non rappresenta che un singolo componente, un elemento, di quell’enorme mosaico, che è la nostra natura intima: la psiche, e i pesi e le misure che la governano e la costituiscono, donando qualità alla materia bruta.

Sostenere che vi è separazione fra colui che cerca, la ricerca, e il ricercato, è indicativo solamente di quello stato di parcellizzazione psicologica in cui siamo caduti. Assurdo è il ritenere che vi sia “altro” posto fuori di noi, il che in se non significa il considerare il microcosmo uomo esattamente coincidente con l’universalità del macrocosmo, ma ad esso intimamente in comunione.

A ben comprendere la preghiera è un atto sacro, ed è sacro ciò che è ritenuto tale, attraverso cui l’estensore rivolge la propria mente, il proprio cuore, la globalità del suo essere, ad una particolare manifestazione della divinità, in cagione del bisogno, della circostanza, e della volontà di conoscere, che al momento ci guida. Attraverso la preghiera abbandoniamo la nostra illusione dell’io, perdendoci nel flusso circolare dei suoni, e dei sublimi pensieri. Creiamo uno spazio racchiuso nell’anello sacro del nostro atto, da cui emergerà quanto noi stiamo cercando. La preghiera è in definitiva anche un’arma che rompe il potere della nostra mente.

Il cristianesimo ci propone una Trinità, o triunità, dove ogni elemento della divina manifestazione (Padre, Madre e Figlio) è compreso negli altri elementi, pur mantendo ognuno una propria peculiarità. L’uomo è parto della Madre, nei suoi sacri aspetti, e in virtù di ciò è frutto del seme del Padre, in quanto tale seme è nel ventre della madre. Così si tramanda la conoscenza. Ma il figlio è anche Padre, in quanto è portatore dei caratteri che lo renderanno a lui simile o a lui antagonista: continuatore, iniziatore o avversatore. Quello che è però evidente è che non è possibile prescindere dal ternario sacro, che ha inizio con la Madre, trova continuazione nel riconoscimento del Figlio, e consacrazione nell’essere Padre.

Ambelain così parlava: “Dunque, la chiave di ogni ascesa risiede nell’arte di svegliare in noi la scintilla divina emanante dalla Madre”.

Ovviamente, aggiungiamo, non si fa riferimento alla semplice e bruta natura, che non ci conferisce altro che un involucro cadente e decadente, ma bensì a quell’originaria idea divina in essa contenuta, e che deve essere ri.conosciuta oltre la foschia dei sensi, delle emozioni, e della ragione.



Come quindi vedere la luce e liberarci dalle ombre?

Louis Claude de Saint-Martin a tale proposito scriveva: “ Dobbiamo risvegliare Dio dall’ebbrezza che gli fa sentire perpetuamente la viva e scambievole impressione della dolcezza delle sue proprie essenze, ed i deliziosi sentimenti che gli fanno provare l’attiva sorgente generatrice della sua propria esistenza..infine di attirare i suoi sguardi divini su questa natura degenerata e tenebrosa, affinchè con il loro potere vivificante le restituiscono il suo antico splendore “ L’essere di ingegno, o di desiderio, saprà benissimo intuire chi è Dio, chi la natura, e comprendere come attraverso la preghiera nei fatti violentiamo un ordine, che vuole l’uomo nei fatti elemento passivo e succube degli eventi, ridotto a concime per la terra.

estratto da: fuocosacro.com


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